La battaglia del 24 febbraio

In foto: Lanzichenecchi tedeschi

Le tre settimane che seguono sono un continuo crescendo di tensione. Gli eserciti si fronteggiano in schermaglie quotidiane, incursioni notturne e piccoli combattimenti, senza che nessuna delle due fazioni riesca a imporsi. Le truppe di Carlo V ottengono piccole vittorie locali senza mai riuscire a sfondare le posizioni francesi, che risultano forti e ben difese. Nonostante i tentativi di scalzare l’esercito di Francesco I, i francesi continuano a mantenere la superiorità difensiva.

I comandanti di Carlo V, all’interno delle mura, stanno affrontando gravi difficoltà per la mancanza di denaro con cui pagare i lanzichenecchi, che minacciano di abbandonare l’esercito. Antonio de Leyva, comandante delle forze imperiali, chiede insistentemente un’azione decisiva. La guerra non può più andare avanti in quelle condizioni: le scorte di cibo nella città fortificata stanno diminuendo rapidamente e la situazione sta diventando insostenibile.

L’attacco imperiale

Spinti dalla necessità, i comandanti imperiali decidono di giocare il tutto per tutto. Dopo aver scartato l’idea di un assalto frontale, il marchese di Pescara escogita un piano audace: muoversi di notte e penetrare nel Parco Visconteo per occupare Mirabello, con l’intento di entrare alle spalle dei francesi e tagliare loro le comunicazioni con Milano, costringendoli a combattere in campo aperto e in condizioni sfavorevoli.

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, le truppe imperiali si mettono in marcia fingendo una ritirata. Mentre il grosso delle truppe si dirige in direzione di Lardirago, alcuni gruppi di fanteria leggera coprono l’operazione con rumori diversivi e qualche colpo d’archibugio per distrarre l’attenzione dei francesi.

Percorsi pochi chilometri, l’esercito imperiale si accosta al muro del Parco, in prossimità di Due Porte, dove i guastatori spagnoli sono già al lavoro per aprire delle brecce nel muro del Parco Visconteo e consentire il passaggio. Il lavoro, lungo e faticoso, si conclude all’alba, e l’avanguardia guidata da Alfonso d’Avalos, composta da circa 3.000 archibugieri, riesce a penetrare nel parco, coperta dalla nebbia e dalla scarsa luce del mattino, per dirigersi verso il quartier generale francese.

I francesi, distratti dalle manovre diversive, non si accorgono immediatamente del pericolo. Gli archibugieri di del Vasto raggiungono il castello di Mirabello, cogliendo alla sprovvista i pochi soldati francesi di guardia e la folla di civili che si trovano nei dintorni. Sorpresi nel sonno, molti non hanno il tempo di fuggire e sono massacrati dai soldati imperiali che mettono a sacco ogni cosa. Del Vasto ristabilisce subito l’ordine e si attesta attorno al castello. Nel frattempo, il grosso dell’esercito imperiale penetra nel Parco, dirigendosi verso il castello di Mirabello.

In foto: Francesco I e i suoi cavalieri, arazzi fiamminghi della battaglia di Pavia, sec. XVI, particolare del secondo arazzo, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli

La reazione francese

Nel campo francese viene dato l’allarme. Francesco I e i suoi comandanti capiscono subito che la situazione è grave. Non si tratta più di una semplice incursione notturna, ma di un’azione decisiva da parte degli imperiali. La tensione sale alle stelle.

I francesi si organizzano in fretta: il re, con circa 800 gendarmi e il loro seguito, si posiziona sulla sinistra, lungo la Vernavola. Al centro, 3.000 soldati svizzeri formano un quadrato, mentre a destra la Banda Nera, composta da 4.000 lanzichenecchi, occupa l’ala. Quattordici cannoni sono disposti lungo la linea di battaglia, mentre una riserva di 400 gendarmi, agli ordini di Carlo d’Alençon, si prepara a intervenire se necessario. Gli italiani delle bande di Giovanni de’ Medici, assente perché ferito, devono coprire la zona a nord di Pavia per prevenire l’eventuale sortita degli assediati. Altri 5.000 svizzeri schierati verso sud, così come alcune migliaia di soldati francesi e italiani accampati oltre il Ticino, sono troppo lontani per poter prendere parte alla battaglia.

Mentre l’esercito francese si prepara alla battaglia, l’esercito imperiale marcia in formazione compatta: cavalleria sulla destra, un forte contingente di 5.000 fanti spagnoli al centro e due enormi quadrati di lanzichenecchi a sinistra con 6.000 uomini ciascuno. Il marchese del Vasto, temendo di restare isolato, ha nel frattempo abbandonato la posizione a Mirabello e si è riunito al grosso dell’esercito con i suoi 3.000 archibugieri.

Quando gli eserciti si avvicinano, la battaglia diventa inevitabile. L’artiglieria francese inizia a bombardare i quadrati imperiali, i primi colpi aprono solchi tra i quadrati imperiali. Per ripararsi, i fanti si stendono a terra, riparandosi negli avvallamenti naturali del terreno. Nel frattempo, Francesco I, ansioso di entrare finalmente in azione, non perde tempo e decide di lanciarsi all’attacco seguito dai suoi cavalieri, perdendo in tal modo ogni contatto con il resto dell’esercito.

La carica francese riesce a respingere temporaneamente quella imperiale, i francesi si fermano per far rifiatare i cavalli, sfiancati dal combattimento. Francesco I è raggiante, ma il vero colpo di scena arriva proprio in quel momento.

Sconfitta e cattura di Francesco I

Gli imperiali si trovano in una situazione critica. La loro cavalleria è stata respinta, la fanteria corre il rischio di venire attaccata frontalmente da quella nemica e contemporaneamente di essere presa alle spalle e sul fianco dalla Gendarmeria francese.

Con un abile manovra, il marchese di Pescara decide di spostare gli archibugieri imperiali sull’estrema destra, mirando direttamente alla cavalleria francese. I cavalieri, senza protezione, cominciano a cadere sotto il fuoco ravvicinato degli archibugieri, molti trascinati a terra dalla caduta dei loro destrieri. Con una pioggia di piombo, i gendarmi francesi vengono decimati. La cavalleria imperiale, che nel frattempo si è riorganizzata, si unisce al combattimento.

Le sorti della battaglia stanno intanto volgendo a favore degli imperiali anche al centro e sulla sinistra, dove i quadrati di lanzichenecchi imperiali hanno la meglio sui francesi. La Banda Nera, pur combattendo con coraggio, viene travolta dalle forze superiori degli imperiali e quasi tutti i suoi componenti cadono nella mischia. Gli svizzeri, che fino a quel momento hanno retto, iniziano a cedere e vengono messi in fuga.

Francesco I, sconvolto dalla piega che sta prendendo la battaglia, tenta prima di resistere circondato da un esiguo gruppo di cavalieri, e poi di fuggire ma non riesce a scappare. Giunto nei pressi della cascina Repentita, un colpo d’archibugio lo disarciona e cade a terra, il cavallo cade morto sopra di lui. Tre cavalieri spagnoli lo fanno prigioniero. Poco dopo, il re è condotto davanti a Charles de Lannoy, il viceré di Napoli, che riceve formalmente la resa del sovrano francese.

Nel frattempo, il duca d’Alençon, che ha visto la battaglia volgere a sfavore dei francesi, anziché intervenire in aiuto di Francesco I, decide di ritirarsi e attraversa il Ticino sul ponte di barche gettato dai francesi durante l’assedio, abbandonando il campo di battaglia.

La disfatta è totale. Gli svizzeri, ormai in rotta e attaccati dai soldati di Antonio de Leyva che hanno vinto in pochi minuti gli sparuti soldati italiani di Giovanni de Medici, cercano scampo dirigendosi verso il Ticino e il ponte di barche già utilizzato da Alençon. Li attende però un’orribile sorpresa: questi, dopo aver passato il fiume, ha fatto tagliare il ponte. Inseguiti dalla cavalleria leggera spagnola che non concede tregua, gli svizzeri si gettano nel fiume dove molti di loro annegano travolti dalla forte corrente.

Il trionfo imperiale

La battaglia di Pavia, durata meno di due ore, si conclude con una vittoria schiacciante per Carlo V. La cattura del re di Francia è un colpo devastante, non solo per l’esito della battaglia, ma anche per l’intera guerra. La sconfitta francese è totale: tra i 7.000 e gli 8.000 soldati perdono la vita, mentre migliaia di prigionieri sono presi. Le perdite imperiali sono di circa 500 uomini.

La battaglia di Pavia segna un punto di svolta nella storia europea, non solo per la vittoria imperiale e per la cattura di Francesco I, ma anche per le implicazioni simboliche che porta con sé: la cavalleria nobiliare francese, con il suo orgoglio e la sua tradizione, è annientata non da forze di cavalleria nemica ma da umili soldati armati di archibugi, le odiate armi da fuoco che cambiano il volto della guerra per sempre.

In foto: Cartina della battaglia di Pavia: in blu i francesi, in
giallo gli imperiali

In foto: Il ponte sul Ticino, arazzi fiamminghi della battaglia di Pavia, sec. XVI, particolare del sesto arazzo, Napoli, Museo di Capodimonte

In foto: Ferdinando Francesco d’Avalos, marchese di Pescara (1489 – 1525). Di nobile famiglia spagnola trapiantata in Italia, fu il migliore capitano imperiale durante le Guerre d’Italia. Nel 1525 fu l’artefice della vittoria imperiale di Pavia. Morì quello stesso anno a seguito delle ferite riportate in quella battaglia. 

In foto: La battaglia di Pavia nella stampa di Giovanni Andrea Vavassori detto il Guadagnino ( attribuito). Pavia, Musei Civici. 

Gli antefatti

Dopo Pavia: La Spagna padrona dell’Italia

I luoghi da scoprire legati alla battaglia

La Zuppa alla Pavese tra leggenda e storia